Cambodia – Battambang
Da Siem Reap a Battambang
Ho optato per raggiungere Battambang via fiume.
Un salto nel tempo, più che nello spazio.
9 ore di barca, 9 ore di villaggi galleggianti, di gente che pesca, di gente che vive e si sposta in barca, di gente che aspetta la barchina della verdura e della frutta per acquistare i dragon fruit (a proposito, ne sono diventata dipendente!!!) o l’ananas, di signore che attendono il passaggio della barchina con il riso, o con la carne.
Ho assistito a una scena surreale. Un’immagine che mi ha strappato un sorriso amaro. Un bambino, sì e no di 6 anni, era lo “skipper” di una barca che trasportava altri 15 bimbi (voglio pensare che stessero andando a scuola). Tanta tenerezza, tante parole pensando ai bambini che vediamo a casa nella loro sicura quotidianità.
Battambang è una cittadina molto tranquilla nel suo insieme, con i suoi mercati, i suoi edifici coloniali, le sue stradine impolverate. Ho assistito a un matrimonio. Che meraviglia, che colori.
E ho partecipato a un corso di cucina. Mi sono troppo divertita. Sono andata ad acquistare i prodotti freschi al mercato, così ne ho approfittato per cercare di dare risposta alle mie mille curiosità (anche rispetto a cibi mangiati senza capire realmente cosa fossero… e scoprire, magari, che era meglio non saperlo!); ho cucinato per un pomeriggio intero e, la sera, ho gustato quanto preparato. Amok, spring rolls, manzo lok lak…
L’altro giorno ho conosciuto Bun, un ragazzo che parla un po’ di inglese, davvero volonteroso e super entusiasta e gli ho chiesto se fosse possibile trascorrere una giornata con lui. E’ stato a dir poco bellissimo. Con Bun sono prima andata in un grandissimo mercato dove ho fatto colazione con una sorta di pasta di pesce, zenzero e aglio avvolta in foglie di banano e poi tostata. Poi mi ha accompagnata, con il suo tuk tuk, a casa di una signora che, di mestiere, arrotola a mano sigarette (pensate che ne prepara circa 3.000 al giorno e le vende a 50 cent di dollaro in pacchetti da 72… mi stupisco che qui fumi pochissima gente!).
Poi è stata la volta di una famiglia che produce, a mano, noodles di riso. Il lavoro richiesto è immane e ho assistito a tutti i passaggi, sapientemente curati dai vari membri della famiglia, nonni inclusi, ognuno con la propria mansione.
Bun mi ha insegnato a raccogliere basilico selvatico e lemon grass, molto utilizzato quest’ultimo anche in cucina.
Ho visitato templi, sono andata in un’azienda vinicola (buono lo shiraz, ma il succo fresco di zenzero era davvero da delirio!), mi sono divertita sul Bamboo Train: si tratta, sostanzialmente, di strutture di bambù chiamate khmer norry appoggiate su rulli fatti come bilanceri; il binario è uno solo, quindi se si incontra un altro bamboo train in direzione apposta non si deve far altro che stabilire a chi spetti scendere, smontare e spostare accanto ai binari il proprio treno, lasciar libero il passaggio all’altro treno, rimontare tutto e ripartire. Nel frattempo, mi sono ustionata naso, collo e fronte!
Ho chiesto a Bun di portarmi a mangiare un piatto tipico cambogiano, il feto d’anatra. Non odiatemi, ma sapete bene quanto io sia curiosa e debba assaggiare tutte le specialità del luogo in cui mi trovo. Ecco, devo dirlo: è delizioso! Dicono sia come il Viagra perché dona energia e vitalità, in realtà, a parte gli scherzi, lo mangiano davvero in moltissimi, anche a colazione, proprio per affrontare la giornata. E’ come mangiare uovo e pollo contemporaneamente.
Le killing cave e i racconti su Pol Pot hanno chiuso le mie giornate a Battambang. Certo, non è facile ascoltare racconti relativi a quanto accaduto da parte di persone del posto, che magari hanno perso parenti e amici. Fino a poco fa mi sembravano cose molto lontane da me, sentite nei vari TG a casa o lette nei libri. Ma quando vedi con i tuoi occhi ossa e scheletri di persone uccise a bastonate dai khmer rossi, tutto acquista una realtà crudele e senza senso, senza risposte, senza un perché.
Cambodia 03 - Battambang - 2014